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the unbearable heaviness of being (myself).

the adventures of an average 29-years-old woman facing a quarter-life crisis [and a global pandemic].

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Tag: psicologo

(semi)quarantine chronicles, #??

5 dicembre 2020 benniLascia un commento

per la prima volta trascorrerò il natale lontano dalla sicilia, senza i miei genitori. non è una prospettiva che mi terrorizza (decisamente meno dell’alternativa, comunque), eppure ho l’impressione che molta gente provi pietà per me quando lo dico. tipo il mio supervisor, che quando ha saputo che sarei rimasta qui a torino, mi ha subito sollecitato a cercare qualcuno con cui trascorrerlo (in realtà mi ha suggerito di auto-invitarmi a dei christmas parties — forse gli inglesi non hanno ben chiaro come funzioni qui il natale). da una parte ovviamente mi fa piacere che si preoccupi di me e del mio benessere, dall’altra mi infastidisce essere trattata come se fosse semplicemente impossibile che io possa star bene da sola durante le festività natalizie.

in queste ultime sedute, io e lo psicologo abbiamo parlato molto in termini meta-. ovvero, abbiamo preso il percorso di psicoterapia che stiamo facendo e l’abbiamo dissezionato, cercando di capire da dove siamo partit* e dove vogliamo arrivare (ovviamente il traguardo è negoziabile). mi ha anche detto che ultimamente ha notato una mia fatica nell’aprirmi e nel parlare di me, come se dovesse un po’ trovare percorsi alternativi per spingermi a raccontare quello che davvero mi ferisce e mi turba. so che ha ragione. non mi piace granché parlare di me. è come se non ne valesse mai la pena. “non mi interessa essere capito, mi interessa essere, capito?”, come diceva un grande poeta dei tempi moderni.

in altre parole, non ho voglia di offrire strumenti a* mie* interlocutor* per mettersi nei miei panni, perché non vedo come mai qualcun* voglia prendersi l’onere e la briga di farlo, né ho interesse a lasciare entrare chicchessia. (il mio psicologo a questo punto direbbe che questo è un mio tipico meccanismo di auto-difesa. alzare muri per impedire a chi vuole entrare di guardare al di là).

la verità è che tutto regge grazie ad un meccanismo precario. è come giocare a jenga. devo essere estremamente cauta nel muovere i vari mattoncini, se non voglio far crollare la mia ben congegnata torre fatta da routine, persone poco tossiche e aspirazioni a portata di mano.

Inviato su (semi)quarantine chroniclesContrassegnato da tag autodifesa, genitori, natale, phd, psicologo, psicoterapia

torino chronicles, #38

18 ottobre 2020 benniLascia un commento

una cosa bella è che non vedo l’ora che sia venerdì per rivedere il mio psicologo. non mi era mai capitato con le mie precedenti terapeute. ho l’impressione che lui mi capisca davvero. non si comporta da amicone (come faceva la prima), né mi parla come se fossi una matta in cerca di rassicurazioni (come faceva la seconda — ma forse era solo perché era inglese e tutti i suoi “i’m so sorry this has happened to you” sembravano posticci). si accorge di alcune mie impercettibili sfumature nella voce e nei gesti che faccio, identifica dei patterns nelle cose che gli racconto e mi dà delle opinioni su quello che faccio — opinioni che non sono mai definitive, ma sempre soggette a modifiche, precisazioni e smussamenti da parte mia. non mi dice come dovrei o non dovrei agire, ma si limita a mettere in luce le contraddizioni insite nei miei gesti o nelle mie parole.

una cosa brutta è che ho il terrore che arrivi venerdì per rivedere il mio psicologo. abbiamo aperto uno spiraglio piccolo piccolo, scoperchiato appena e delicatamente quel vaso di pandora che contiene la mia ultima relazione e sono già due notti che dormo poco e male. mi giro e rigiro insonne rivivendo nella mia mente spezzoni di dialoghi, di eventi, di situazioni, cercando le parole più adatte per descriverle e raccontarle a voce alta, avendo paura di alterare involontariamente la narrazione. ero io? era lui? eravamo entrambi? com’è potuto succedere? non riesco a pensarci senza sentire dolore e la cosa peggiore è che non so se a farmi male sia il ricordo di quanto male stessi o il ricordo del mio atteggiamento — altrettanto tossico, altrettanto abusivo, altrettanto patologico. in altre parole, non so se a farmi male sia lo schifo che provo per il suo atteggiamento o per il mio.

non che pensassi di essermi lasciata tutto alle spalle. due anni sono pochi per metabolizzare, per guardarsi indietro senza rancore, per dimenticare. il punto è che ho speso un sacco di soldi e tempo in terapia, sia durante che dopo, e non posso credere che una larga parte di quel che definisce i miei problemi psicologici oggi derivi da una relazione sbagliata. credevo di essere meno banale di così — o forse è l’ennesima conferma di quanto sia tristemente ordinaria.

Inviato su torino chroniclesContrassegnato da tag #mentalhealthissues, ansia, depressione, psicologo, psicoterapia, relazioni finite male

torino chronicles, #23

3 ottobre 2020 benniLascia un commento

da un mesetto ormai ho iniziato a vedere un nuovo terapeuta. mi piace molto.
non solo mi fa domande inaspettate, spingendomi a cercare risposte a quesiti che non mi ero mai posta, ma getta una luce diversa sulle esperienze di cui gli parlo. alcune cose che mi fa notare sono miei vecchi limiti, già esplorati (e chiaramente non risolti) con le mie vecchie terapeute, altre sono novità — che o non ritenevo importanti fino ad adesso, o non ho voluto ritenere tali.

quando l’associazione che avevo contattato mi ha assegnato un terapeuta maschio, sulle prime ero molto scettica — per due ordini di ragioni.
la prima è che negli ultimi anni ho sviluppato una sorta di misandria latente. non odio gli uomini, odio il maschile — come costrutto sociale, come classe privilegiata, come categoria che non si è mai dovuta scontrare con una serie di problematiche e ansie che invece il femminile deve affrontare ogni giorno. inoltre, proprio per ragioni pedagogiche e di condizionamenti sociali, trovo che molti uomini siano carenti di una sensibilità che invece accomuna molte donne — proprio perché non hanno esperito le problematiche di cui sopra — e che ritengano che l’unico sguardo sul mondo possibile sia il proprio, o che, ancora peggio, il loro punto di vista sia un punto di vista neutrale, che accomuni tutt*. questa è una cazzata.
la seconda è che, per qualche curioso motivo, ho bisogno di piacere agli uomini. vorrei piacere a tutt*, sempre, ma mi rendo conto che quando c’è anche solo un uomo nella stanza, il mio atteggiamento cambia. come se l’essere simpatica, desiderabile, divertente e affabile per lui fosse l’unico modo per sentire validato il mio continuare ad esistere. non ne vado fiera, ma sto cercando di essere molto onesta nei confronti di me stessa e quindi che senso avrebbe negarlo.

ecco, quando ho saputo che il mio nuovo terapeuta sarebbe stato un uomo, ho pensato che non mi sarebbe davvero servito; che non sarei stata capace di essere trasparente perché troppo impegnata a mostrarmi appealing; che non avrebbe capito tre quarti delle mie problematiche; che sarebbe stato imbarazzante parlare di sesso (o peggio, l’avrei fatto in modo simil-civettuolo). tutte queste profezie si sono rivelate profondamente sbagliate. con lui mi sento estremamente a mio agio e non mi vergogno di confessargli i miei pensieri più reconditi (compresi i miei dubbi sull’avere un terapeuta uomo).

nel frattempo, continuo a sognare persone che non vorrei più avere nella mia vita e men che meno nel mio mondo onirico. mi chiedo quanto le dinamiche di coppia dei miei genitori abbiano irrimediabilmente danneggiato il mio modo di vivere le relazioni. ma soprattutto, mi chiedo (come mi ha chiesto il mio psicologo) come faccia a tracciare così nettamente un confine tra quello che do e quello che sono.

una volta il mio ex mi ha detto che sono diversa da quello che sembro. che con le persone che non conosco o a cui voglio piacere (e.g., genitori, insegnanti, potenziali partner) mi comporto in un modo ma che in realtà, quando mi si conosce, sono diversa. il succo del suo discorso credo fosse che il mio atteggiamento sia ipocrita. all’epoca mi arrabbiai molto (avevo un’enorme quantità di rabbia nei suoi confronti e nei miei), ma è esattamente così. non penso sia una caratteristica posseduta solo da me, penso che tutt*, chi più, chi meno, ci mostriamo in un modo quando non conosciamo qualcuno e poi pian piano reclamiamo più spazio, più attenzioni, più comprensione con il passare del tempo. credo sia fisiologico. c’è davvero, però, questo grande divario tra ciò che mostro e ciò che sono? e se c’è, in fondo, non dipende dal fatto che all’inizio non faccio altro che dare, dare, dare, nel disperato tentativo di essere apprezzata? e se questo dare, dare, dare ad un certo punto diventa troppo estenuante, cosa dovrei fare? fingere che non sia così? continuare ad insistere? trovare altri modi (opinabili) per autodeterminarmi — come ha fatto mia madre?

non so se ci sia un modo per conciliare queste due istanze, se forse dare un po’ meno ed essere un po’ di più possa essere una soluzione, se sia possibile vivere senza voler necessariamente piacere a tutti i costi. ai posteri l’ardua sentenza.

Inviato su torino chroniclesContrassegnato da tag genitori, psicologo, psicoterapia, relazioni finite male, riflessioni estemporanee, sesso, torino
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